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IL DUBBIO PATOLOGICO: COS'È E COME RISOLVERLO

  • dott.ssa Alessia Biggio
  • 1 nov 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 15 nov 2024

Il dubbio patologico è una particolare forma di pensiero ossessivo che si verifica quando alcune domande si insinuano e si stabilizzano nei pensieri della persona sotto forma di dilemmi irrisolvibili che logorano la mente, facendo vivere la persona in uno stato più o meno costante di forte ansia e angoscia.


Se è vero che porsi degli interrogativi è un tratto del tutto naturale della nostra psiche, indice di una mente riflessiva, matura e complessa che può portarci a migliorare e accrescere la nostra soddisfazione personale, è vero anche che il tentativo di trovare risposte razionali e definitive a domande che di per sé possono avere molte risposte possibili, possono portare la nostra mente ad intrappolarsi in un vero e proprio loop.


"Mi tradirà o non mi tradirà?"

"E se domani mi sentissi male?"

"Ce la farò o non ce la farò?"

"Dovrei cambiare lavoro o no?"

"E se invece di quella parola avessi detto l’altra?"

"E se un giorno diventassi omosessuale?"

"E se un giorno picchiassi qualcuno fino ad ucciderlo?"


Interrogativi che non rappresentano, sempre e di per sé, un problema nel loro contenuto (per un approfondimento si veda: le domande che sfociano in dubbio patologico) ma che possono trasformarsi in dilemmi irrisolvibili secondo la modalità con cui la persona cerca di risolverli, muovendosi in genere in una dimensione del pensiero puramente concettuale e astratta dove qualunque risposta può essere generata e confutata in un processo senza fine.


Si tratta infatti di domande che, per come sono formulate, non ammettono mai un’unica risposta giusta e assoluta ma al contrario molte risposte possibili.




SINTOMI E MANIFESTAZIONI DEL DUBBIO PATOLOGICO

Le persone che ne soffrono si ritrovano a vivere in una rimuginazione continua e infinita, un vero e proprio labirinto mentale in cui finiscono per sentirsi imprigionate provando spesso forti sentimenti di ansia e angoscia.


Questo accade perché la persona cerca con infinite e sottili argomentazioni di trovare una risposta valida al suo primo quesito ma non appena la trova, questa risposta genera un nuova domanda (dubbio) che porta ad una nuova risposta, creando un labirinto di domande e risposte nel quale la persona finisce per sentirsi intrappolata, non riuscendo più a trovare via d’uscita.


Un processo destinato a non avere fine, poiché per ogni ragionamento che sembra condurre ad una definitiva rassicurazione, una nuova obiezione è pronta ad insinuarsi nella mente, per confutare le precedenti conclusioni.


Nel tentativo di risolvere i mille dilemmi che si propone, la persona può anche ritrovarsi spesso a chiedere consigli e pareri esterni, di cui però non è mai pienamente convinta e soddisfatta.

L’angoscia della riflessione sul dubbio irrisolto finisce per condizionare le attività della vita quotidiana, il tono dell’umore e la qualità delle relazioni della persona. I dubbi e le domande invadono intere giornate e talvolta sconfinano anche nelle nottate diventando una presenza soffocante e asfissiante.


L’emozione prevalente associata, che accomuna tutti quanti i dubbi patologici, è la paura.

Paura di non essere all’altezza di qualcosa o qualcuno, paura di sbagliare irrimediabilmente segnando la propria vita in modo irreversibile, paura di non essere psicologicamente sani e così via. Tutto viene vissuto allora con un grande peso angosciante e può essere presente uno stato di insoddisfazione generalizzata, umore depresso, disturbi d’ansia, bassa autostima.



COME RISOLVERE IL DUBBIO PATOLOGICO IN TERAPIA?

Se il punto centrale fosse un’incapacità del ragionamento analitico della persona allora potremmo sostenerla nel suo processo riflessivo aiutandola a direzionare la propria attenzione su uno o più dettagli significativi che potrebbero aiutarla a trovare la sua risposta ultima. Ma poiché il problema risiede proprio nell’attività stessa del pensare freneticamente e vorticosamente, oltre che a cercare risposte assolute a domande che offrono più possibilità, offrire alla persona nuove argomentazioni non farebbe altro che alimentare la sua tendenza a ragionare ancor di più.


La risposta al dubbio, nella sua forma patologica, non si trova nella complessità del ragionamento. Si trova, al contrario, smettendo di cercarla.


Il primo passo da farsi in terapia, quindi, è aiutare la persona a interrompere questo flusso vertiginoso di pensieri e ragionamenti disfunzionali, aiutandola a riconnettersi ai dati di realtà concreti ed esperenziali che sta vivendo nel qui ed ora della sua realtà fisica ed emotiva, presente. Aiutandola a ridirezionare le proprie energie dal pensare al sentire. Dall’astratto al concreto. Dal concettuale all’esperienza diretta.


Per fare questo esistono varie metodologie specifiche che possono essere più o meno efficaci a seconda della persona e che vengono dunque valutate dal terapeuta in corso d’opera.


Dopo questo primo passo accade frequentemente che la persona possa accedere a due dimensioni esperienziali fondamentali che gli erano prima precluse. Da una parte l’esperienza emozionale correttiva della maggior serenità che prova allorquando smette di pensare vorticosamente, di cercare disperatamente, di rimuginare; dall’altra l’emergere di contenuti personali sepolti nel loop preesistente della mente che, contattati in modo chiaro e trasparente, potranno far affiorare le tanto volute risposte. Questa volta però in modo naturale e fluido.


Non di rado, capita anche che in questo nuovo modo di approcciarsi alle proprie emozioni, la persona senta svanire il bisogno spasmodico di porsi specifici interrogativi, riprendendo semplicemente a vivere un po’ più lontana da quella ricerca compulsiva di controllo, perfezione e certezze assolute che caratterizzano tutte le varie forme del pensiero ossessivo.

 
 
 

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